Il metodo Product Environmental Footprint (PEF) applicato alla valutazione di impatto ambientale

All’interno del settore lattiero-caseario, la fase relativa alla produzione di latte crudo risulta sempre essere la più rilevante nel determinare il profilo ambientale di una specifica filiera.

Nell’ambito del Progetto LIFE TTGG è stato perciò particolarmente importante comprendere il metodo da seguire per valutare le tipologie e le entità degli impatti che scaturiscono dalla fase di stalla, al fine di ricostruire correttamente le performance ambientali dell’intera filiera produttiva relativa al formaggio Grana Padano DOP.

Il metodo considerato è il Product Environmental Footprint (PEF), in riferimento alle rispettive regole del settore lattiero-caseario: esso rappresenta la metodologia raccomandata dalla Commissione Europea per la valutazione e comunicazione delle prestazioni ambientali di un prodotto. In particolare, il metodo PEF si basa sull’utilizzo del Life Cycle Assessment (LCA), l’approccio attualmente più diffuso per la stima dell’impatto ambientale del settore zootecnico, che consente di analizzare l’intero ciclo di vita di un sistema o di un prodotto – dall’acquisizione delle materie prime al fine vita – e di distinguere diverse tipologie di impatti ambientali.

Come si conduce uno studio di impatto ambientale (LCA)?
La prima attività da svolgere è quella di definire i confini dello studio che si vuole condurre, quindi l’inizio e la fine della valutazione ambientale. Nel caso della stalla i confini dello studio sono le operazioni di produzione e raccolta del latte crudo, escluso il trasporto latte al caseificio.

La seconda attività riguarda la raccolta dei dati primari. Questa è di fondamentale importanza e consiste nella caratterizzazione di un allevamento sulla base dei dati ricavati da un questionario sottoposto a ciascun allevatore, suddiviso in sezioni. Per agevolare la raccolta delle informazioni è utile consultare la documentazione che accompagna l’attività gestionale dell’allevamento, al fine di ottenere dati robusti e rappresentativi. In caso di difficoltà nel loro reperimento è possibile utilizzare dati secondari, ottenuti da banche dati o reperiti da letteratura scientifica.
La terza attività consiste nella scelta dell’unità funzionale, ovvero del riferimento al quale allocare i risultati di impatto ambientale. Nel caso dell’allevamento bovino da latte, l’unità funzionale è il kg di FPCM (Fat and Protein Corrected Milk).

La quarta attività prevede l’associazione dei dati raccolti tramite questionario e inventariati, a processi di riferimento che permettono di calcolare gli impatti derivanti dall’intera attività di allevamento.

Nella quinta attività, infine, si analizzano e interpretano i risultati di impatto. All’allevatore vengono così comunicati gli aspetti su cui intervenire per poter riscontrare un miglioramento ambientale del proprio prodotto.

Fonte: Università Cattolica del Sacro Cuore

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